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Dove il caos si sublima in tranquillità e la fanciullezza prende forma

L'artista Emanuele Antonelli ci guida in una pittura che osserva il mondo senza giudicarlo, ricordandoci che anche dal disordine può nascere meraviglia

venerdì 27 Giugno 2025Irene Bellini

«Laddove mancava tranquillità, l’arte c’è sempre stata». Sono queste le parole attraverso cui esordisce Emanuele Antonelli, preludendo il racconto di una ricerca artistica che profetizza positività e profonda sensibilità. È infatti fin dall’infanzia che l’artista romano sembra quasi aver stretto un patto silenzioso con il disegno, impulso creativo che non ha mai abbandonato ma che è diventato il lessico attraverso cui continuare a esplorare e raccontare il mondo, mescolando rigore e libertà espressiva. Tra i suoi ultimi progetti, l’esposizione Dream Print Series – Fairy Tales nella Talent Hall di Inside Art, esito di un linguaggio visivo inatteso, creato a partire da oro, bronzo, gesso, cristallo e platino.

«Ho iniziato da piccolissimo – confessa – e tutto quello che ero da bambino sopravvive in ciò che faccio oggi». Il risultato è un gesto pittorico profondamente indipendente e innato, di una mano curiosa e attenta a raccogliere parti di vita e di ciò che rimane. «La mia ricerca nasce da un’osservazione continua – racconta – è un rapporto tra me e la tela. L’ispirazione deriva sia dal classico che dal contemporaneo, da tutto ciò che mi circonda».

Una relazione intima, in cui il supporto pittorico diventa il luogo dove si riversano influenze classiche, impulsi contemporanei e intuizioni quotidiane. La scelta cromatica ricade su colori brillanti ed esplosivi, nel tocco di un’arte riconoscibile anche da un punto di vista materico. «Amo tutto ciò che è arabeggiante e orientale. Cina e Oriente sono l’elevazione al quadrato della raffinatezza. Tutto ciò che è arte orientale è meticoloso, niente è lasciato al caso». In bilico tra fiaba e mondi lontani, l’espressione estetica di Antonelli non cede mai al semplice decorativismo: così, quando gli si chiede se l’uso ambivalente dell’immaginario fiabesco, spesso presente nei suoi quadri, nasconda un intento di smascheramento, risponde con sincerità: «vuole essere un ‘vedo ma non vedo’. Io do un nome e un senso, ma poi è l’occhio di chi guarda a completare l’opera. Ciò che per me può avere un significato, può cambiare per l’osservatore e assumerne un altro».

Tra pennellate istintive e sogni orientali, scaturisce un universo visivo fatto di fiabe moderne, dettagli nascosti e libertà espressiva. Ed è proprio quei ghirigori che sensibilmente richiamano l’estetica di Giacomo Balla: non semplici scarabocchi, ma un laboratorio grafico dove, con gentilezza, prende forma una visione, quella di un’arte in movimento che guarda al mondo moderno non per imitarlo, ma per trasformarne l’energia in segno. Con una leggerezza quasi infantile ma consapevole, laddove il caos si sublima in tranquillità e laddove l’arte, finalmente, ritrova la propria viscerale quiete.

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